L’idronefrosi è una patologia, generalmente benigna, caratterizzata da un’anomalia del flusso urinario (per ostruzione o reflusso), dovuta alla dilatazione delle cavità che consentono il transito delle urine dal rene alla vescica.
Per conoscere meglio questa patologia e quali sono i rimedi per farvi fronte, abbiamo interpellato il Dott. Massimiliano Silveri chirurgo pediatrico e urologico del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere.
I. Dott. Silveri quali sono le cause dell’idronefrosi pediatrica?
S. La causa più comune di idronefrosi è un ostacolo parziale (stenosi) a livello del “giunto pieloureterale”, cioè del passaggio tra il rene e l’uretere, il canale che trasporta le urine fino alla vescica.
La stenosi del giunto pieloureterale si presenta da un solo lato nell’ 85% dei casi ed è più frequente nei maschi, sul lato sinistro. Il grado di ostruzione al passaggio delle urine può variare da forme lievi a molto severe (dal I al IV a seconda della gravità).
In quest’ultimo caso il rene può soffrire, il tessuto renale (parenchima) assottigliarsi e così il rene può perdere in parte o del tutto la sua funzionalità.
I. C’è la possibilità che questa ostruzione si risolva spontaneamente, senza interventi o farmaci?
S. Esiste la possibilità che il grado di ostruzione del giunto si possa modificare nel corso del tempo, tendendo a migliorare spontaneamente nei primi 12-24 mesi di vita.
Dopo quell’età, invece, il miglioramento spontaneo diventa improbabile e il rischio di danno ai reni aumenta.
Nei bambini più grandi e che presentano coliche addominali, l’ostruzione è spesso causata dalla presenza di vasi sanguigni “anomali”, che incrociano il giunto pieloureterale e lo comprimono. In questi casi l’idronefrosi non è mai grave fin dalla nascita, ma è spesso intermittente.
I. Quali sono i sintomi che ci possono far pensare ad una diagnosi di questo tipo?
S. La maggior parte delle idronefrosi viene diagnosticata in epoca prenatale quando il bambino sta bene.
Nel lattante e nel bambino piccolo, eventuali sintomi sono in genere legati alla comparsa di un’infezione delle vie urinarie e possono associarsi a:
– Rifiuto della alimentazione;
– Vomito;
– Febbre;
– Sonnolenza.
In questi casi va eseguito un esame delle urine ed eventualmente prescritta una terapia antibiotica.
Ulteriori indagini saranno decise dal pediatra in accordo con lo specialista urologo.
In una minoranza di casi l’idronefrosi viene scoperta in bambini più grandi. Il bambino di età superiore ai 4-5 anni o l’adolescente si presenta con dolori addominali ricorrenti o con una vera e propria colica renale.
I. Come viene effettuata la diagnosi?
S. Nella maggior parte dei casi l’idronefrosi viene diagnosticata in epoca prenatale alla cosiddetta ecografia morfologica fetale, o più tardi nel corso della gravidanza. Viene riscontrata in 1 su 100-500 gravidanze e abitualmente viene classificata in 4 gradi in base alla gravità.
In gravidanza, oltre alla dilatazione del rene, vanno tenuti in considerazione l’aspetto dell’altro rene e il liquido amniotico.
In caso di idronefrosi di un solo rene, se l’altro rene e il liquido amniotico sono normali, non vi è nessuna indicazione ad anticipare i tempi o a modificare le modalità del parto.
Diverso è invece il caso delle idronefrosi di entrambi i reni, specie se gravi, che andranno controllate periodicamente nel corso della gravidanza e valutate già in epoca prenatale dall’urologo pediatra.
La gestione dopo la nascita andrà valutata caso per caso.
I. Cosa fare dopo la nascita?
S. Ogni caso di idronefrosi prenatale deve essere rivalutato dopo la nascita. L’ecografia postnatale va eseguita tra i 3 e i 7 giorni di vita del neonato nei casi di idronefrosi prenatale grave e poi a circa 1 mese di vita. Nei primissimi giorni di vita, infatti, la funzione renale è appena avviata e questo potrebbe far sottovalutare la dilatazione del rene.
L’ecografia postnatale consentirà di definire meglio:
– L’aspetto del rene;
– La gravità della dilatazione;
– Lo spessore del tessuto renale funzionante;
– L’eventuale presenza di dilatazione dell’uretere (megauretere);
– L’aspetto dell’altro rene e della vescica.
Se alla nascita la dilatazione è confermata, le ecografie dovranno essere ripetute nel tempo. La maggior parte delle idronefrosi infatti va incontro ad un miglioramento spontaneo nei primi 12-24 mesi di vita.
I. Ci sono gli esami diagnostici da sostenere?
S. Nel sospetto di idronefrosi è necessario eseguire una scintigrafia renale. L’esame utilizza un radio-isotopo a bassissima carica radioattiva, che viene captato dal rene ed eliminato nelle urine, dandoci informazioni preziose sia sul funzionamento del rene che sulla severità dell’ostacolo al passaggio delle urine.
Non richiede particolare preparazione del bambino, né digiuno (anzi il bambino deve essere ben idratato) e non c’è alcuna sedazione.
Un altro esame diagnostico utile è la cistouretrografia minzionale retrograda, che consiste nell’iniettare il mezzo di contrasto tramite un cateterino che viene introdotto nell’uretra.
L’esame permette di realizzare radiografie prima e durante la somministrazione del mezzo di contrasto iodato, seguendone la sua progressione nella vescica e nell’uretra. La vescica si riempie così di urina radiopaca e le immagini permettono di valutarne la morfologia.
I. Come si cura l’idronefrosi?
S. C’è da dire che la maggior parte delle idronefrosi va incontro ad un miglioramento spontaneo nei primi 12-24 mesi di vita.
Nei bambini con diagnosi di idronefrosi “ostruttiva” o con idronefrosi sintomatica è necessario invece l’intervento chirurgico.
L’intervento è quello di Pieloplastica: si tratta di rimuovere la giunzione pieloureterale ostruita, ristabilendo poi il collegamento tra la pelvi e l’uretere. Le percentuali di successo dell’intervento sono superiori al 96-97%.
Attualmente, la correzione dell’ostruzione che causa l’idronefrosi si avvale di tecniche mini-invasive che utilizzano micro-incisioni e telecamere (video-laparoscopia), con considerevole riduzione del dolore e della durata del ricovero, risultati estetici nettamente migliori e un successo chirurgico assolutamente identico all’intervento tradizionale.
Nel lattante e nel bambino piccolo può essere utilizzato un intervento laparo-assistito attraverso una piccola incisione in sede lombare.
I. Ci sono degli esami da fare dopo l’intervento?
S. Dopo le dimissioni che avvengono in 2-5 giorni, specie se il bambino è stato operato con chirurgia mini-invasiva, si procede con una profilassi con antibiotica fino al mantenimento dello stent urinario. Sono consigliati dei controlli ecografici a 3, 6 e 12 mesi di distanza dall’intervento. Successivamente, è utile un controllo annuale fino al completamento dello sviluppo adolescenziale.
Una scintigrafia renale va eseguita a 1 anno dall’intervento e in adolescenza, salvo casi particolari.
Si ringrazia il Dott. Silveri per la disponibilità.
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